Gli Ebraismi Nella Lingua Italiana “Abstract”

“In principio … Dio disse: -Sia la luce- e la luce fu”. È Dio che parla. Egli creando il cielo e la terra dice: “sia la luce”. Solo dopo questa parola divina “la luce fu”.
La creazione avviene per un atto di parola, per la potenza della sua Parola, man mano che procedeva in essa, chiamò in vita le cose che non erano, dando loro nome, e solo nominando le cose che via via crea, Dio conferisce loro uno statuto ontologico: e Dio chiamò luce “giorno” e le tenebre “notte” … (e) dichiarò il firmamento “cielo”. La creazione avvenne per un atto verbale, per mezzo della parola.

Il Signore parlò per la prima volta all’uomo, mettendogli a disposizione tutti i beni del paradiso terrestre, e comandandogli di non mangiare del frutto dell’albero del bene e del male. Si delinea qui la prima possibilità di una lingua che viene compresa da Adamo. Egli, dopo aver plasmato tutti gli animali li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati; e in qualunque modo l’uomo avrebbe chiamato ogni essere vivente, quello doveva essere il suo nome. Adamo viene condotto a nominare gli animali, e, dunque, presumibilmente emette dei suoni, esegue atti di linguaggio e stabilisce verosimilmente le regole di una lingua. Dio crea, con il primo uomo, anche la prima forma di linguaggio.

Adamo, a questo punto, appare come il primo creatore del linguaggio, doveva dare dei nomi agli animali, che sarebbero stati chiamati con la lingua istituita dal suo creatore. Adonai aveva dato ad Adamo una facoltà di linguaggio prima che egli costituisse una lingua. La stessa lingua materna viene appresa attraverso voce, era necessario che Dio educasse Adamo infondendogli la capacità di dare il nome appropriato alle cose. Che lingua l’Eterno ha usato? E Adamo? L’ebraico, la lingua primordiale dell’umanità, come sostengono la tradizione patristica e gli studiosi in genere.

Non solo le parole dell’ebraico riflettono la vera natura delle cose, ma la Potenza divina che ha dato ad Adamo un linguaggio perfetto, scritto e parlato, è la stessa che ha scolpito nell’argilla una struttura fisiologica adatta a produrlo. Il Signore con il Suo dito, successivamente, incise la pietra per dare all’uomo i dieci comandamenti, con quali caratteri lo fece? Quali segni erano? Di che lingua?

La Torah stava al cospetto di Dio al momento della creazione, come una serie di lettere non ancora congiunte tra loro con trattini e filetti di unione. Se non fosse stato il peccato di Adamo le lettere si sarebbero congiunte per formare un’altra storia, chissà … Per questo la Torah non contiene alcuna vocale, nessuna interpunzione e nessun accento, un mucchio di lettere non ordinato, solo il Messia metterà in ordine le lettere e ci darà la giusta lettura e interpretazione (Tradizione Ebraica). La punteggiatura, infatti, la vocalizzazione (nikkud) e gli accenti sono tardivi. Il crollo della torre di Babele è il crollo della lingua universale. Con il crollo della torre si dischiude un nuovo spazio, lo spazio aperto dell’incomprensione e dell’incompiutezza. E la punizione si volge in riparazione. Dio distrugge, ovvero “decostruisce”. È questo l’inizio della Sua riparazione.

La distruzione si rivela, a ben guardare, una decostruzione: con la confusione delle lingue e la dispersione dell’umanità che ne discende, Dio impedisce il concentramento di tutti gli uomini in un’unica città, intorno ad un’unica torre, all’insegna di un unico nome idolatrico, pilastro artificiale di un’unica lingua che non ammette in sé differenze. Concentrata in un’unica città, intorno alla torre, l’umanità finirebbe per costruire un unico blocco senza differenziazioni e senza differenze. Questo blocco artificiale è il mezzo per la tirannia più terribile e spietata. La pietà di Dio impedisce questa tirannia, proibisce che tutti gli uomini si concentrino insieme nello stesso posto. Perché Babele non è solo un nome proprio, ma è un evento divino che si ripete nel tempo.

La storia di una lingua comincia con la sua scrittura. Quella dell’ebraico comincia con le apparizioni d’iscrizioni di cui può dire con sicurezza che sono state incise in questa lingua. Ciò che rende unica la storia dell’ebraico, a parte tutte le implicazioni teologiche, è la rinascita ai giorni nostri di questa lingua antica, ritenuta morta da più di duemila anni. Quando mai si era visto “resuscitare” una lingua? Si è adempiuta una delle profezie annunciata nel libro di Sofonia. Il miracolo è avvenuto: oggi in Israele si parla in ebraico ed è stata messa a punto una terminologia che permette di discutere non solo di filosofia, di letteratura e di politica, ma anche di scienze e di tecnologia avanzata. La stupefacente storia dell’ebraico si dipana attraverso tre millenni, con periodi di fulgore e secoli oscuri.

La lingua che oggi si parla in Israele ha lo stesso nome di quella che si parlava, nella stessa terra, circa trenta secoli fa; anche coloro che la parlano, gli ebrei che vivono nello Stato d’Israele, hanno lo stesso nome di un tempo. Mentre tanti popoli antichi, compresi quelli che ebbero contatti con Israele, giacciono da millenni sotto la polvere

dell’’oblio, l’unica forma di esistenza è tra le righe di qualche manuale di storia antica o di archeologia. Il legame tra ebraico ed ebrei non si è mai logorato, nonostante i popoli contemporanei degli ebrei, sono svaniti tra le ombre di un passato che non c’è più.

Rabbi Uri diceva; << Le miriadi di lettere della Torah corrispondono alle miriadi di anime in Israele; se nel rotolo della Torah manca una lettera, esso non è valido; se manca un’anima nella lega di Israele, la shekinà non posa su di essa. Come le lettere, anche le anime devono collegarsi e diventare una lega. Ma perché è proibito che una lettera tocchi la sua vicina? Ogni anima d’Israele deve avere ore in cui è sola con il suo Creatore>>.

L’alfabeto ci rimanda alla parola. La parola può essere detta o scritta, ma certamente la parola detta, per viaggiare nel tempo, ha bisogno di essere scritta. L’alfabeto non è soltanto un sistema di segni, ma ha un fondamento teologico. È erroneo credere che ogni lettera dell’alfabeto si risolva semplicemente in un segno. On un suono e in un unico senso. Ogni lettera ha tante potenzialità che emergono nelle varie letture della Scrittura.

Nell’episodio culminante dell’Esodo, cioè il dono della Torah, della Legge, sul Monte Sinai, questa è stata consegnata a Mosè su due tavole di pietra scritte dal dito di Dio. dio esce dall’incorporeità proprio per scrivere le tavole. Non vediamo Dio, ma, in un certo senso immaginiamo il Suo dito che scrive sulle tavole. Il dito di Dio produce, per così dire, un modo di presenza divina permanente nel mondo e in Israele e questo modo consiste nelle lettere scritte. La Torah è per l’ebreo ciò che Gesù è per i cristiani. L’incarnazione di Dio, il Dio che si fa vicino all’uomo. L’espressione del prologo del Vangelo di Giovanni “il verbo si fece carne” significa non solo, come per i cristiani, l’incarnazione del verbo, ma allo stesso modo l’incarnazione di Dio. dio sul Monte Sinai si è incarnato, se cosi si può dire, in una scrittura fatta con l’alfabeto. Si potrebbe dire che la Torah è per gli Ebrei ciò che Gesù Cristo è per i cristiani.

Presso gli Ebrei di stretta e anche meno stretta osservanza, è dilagato l’uso di scrivere la parola Dio in forma semi contratta D-o (D.o). tale consuetudine è invalsa, non solo per i testi più propriamente liturgici e teologici, ma anche per quelli di taglio divulgativo-didattici, e viene giustificata dal ricorso al divieto sanzionato dal secondo comandamento.

Quello che conosciamo come secondo comandamento dice: <<Non pronunciare il nome di Yhwh tuo Signore invano>>.

Il tetragramma YHWH, è << il più importante dei nomi di Dio>>. È diventato nel corso dei secoli il nome divini che, al pari di Elohim, può essere scritto, ma non verbalizzato se non con un sostituto, in genere Adonai (lett.: mio Signore) o Hashem (lett.: il Nome). La tradizione ebraica ha elaborato una serie di 72 nomi divini, di cui

fanno uso i kabbalisti e che contengono una profonda simbologia. Nella Bibbia, perciò, troviamo i nomi di Dio che indicano la Sua natura, i Suoi attributi, i Suoi titoli, che, tramite le Sacre Scritture sono penetrati nella nostra lingua, come calchi sull’ebraico, divenendo di uso ricorrente in ambito teologico e liturgico.

Nomi principali di Dio dono tre; el, elohim e Yahweh (seguono sul libro tutti i nomi di Dio e il relativo significato)

Anche il patronimico è importante, rappresenta il destino divino di un uomo legato al suo nome. Si vuole sottolineare il carattere speciale che il concetto di nome ha per il popolo ebraico. Notiamo, nelle Sacre Scritture, matrice e fondamento portante di ogni aspetto della cultura, della tradizione e della religione ebraica, che ogni personaggio è caratterizzato dal suo nome, elemento fondamentale per la comprensione del significato profondo della narrazione biblica. Il destino di un personaggio, a volte, è simboleggiato da un cambiamento di nome: Abramo, che da Avram diventa Avraham, e l’aggiunta di quella H lo trasforma nel padre del popolo ebraico; e Giacobbe, il cui nome viene modificato, dopo una lotta notturna con un messaggero divino, in Israel, “colui che lottò con il Signore”. La narratio biblica è comprensibile solo se si tiene conto del valore simbolico dei nomi dei vari personaggi, perciò incontriamo in essa molte genealogie, elenco di nomi apparentemente privi di significato. È il nome, eterno, che risuona oggi ancora carico di significati simbolici non del tutto svelati. (nel libro vi è un capitolo dedicato all’onomastica, nomi e significati).

Professoressa, Pastora Nicla Pompea Costantino

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